giovedì 3 settembre 2009

La città dalle grandi fronde….




Sono tornata da poco tempo in Mozambico, una manciata di giorni che ancora conto sulle dita delle mani…eppure quello fatto più che un viaggio, mi sembra uno spostamento nel tempo, una traslazione dall’oggi al ieri di un mondo che condivide spazi ma non ritmi comuni.
Il mio mi appare sempre come un viaggio che parte da ciò che ora e’ verso ciò che un tempo e’ stato e che, per ora, non e’ altro che il mio futuro qua in questa terra lontana dal luogo dove sono nata.

E’ una sensazione che mi accompagna sempre, ogni volta che salgo sul primo aereo di linea della Meridiana che mi trascina via dalle aspre coste azzurre della mia amata isola, fino all’ultimo atterraggio, sicura che all’arrivo sarò assalita dall’odore di caldo e da una strana solita sensazione di non concepire i confini del mondo in termini di spazio, ma si in termini di tempo.

Eppure chi ha viaggiato lo sa, il mondo gira a diverse velocità, ogni luogo ha il suo ritmo, ogni momento ha il suo peso, ogni vita fa il suo percorso, ogni popolo ha la sua storia, ogni uomo il suo destino.
Per me e’ difficile capire quale sia il mio tempo. Desiderosa di andare dovunque sia per qualsiasi buona ragione al mondo, sicura di riscoprire in ogni angolo di terra e pezzettino di cielo un tetto e una casa dove temporaneamente mettere radici, mi sento a volte incerta nel capire dove e quando poggiare il prossimo passo. Per questo, come una mangrovia, getto le mie radici sull’acqua a fluttuare pronte a scivolare via prima di sprofondare.
Una volta in un enigmatico gioco azteca sul destino mi avevano detto “sarai eternamente straniera nella tua stessa casa. Sei destinata a viaggiare, dovunque ti sentirai a casa ma nessun posto sarà davvero casa tua”. Quelle parole le conservo gelosamente nella memoria e le ho scritte su un quaderno che apro ogni tanto per specchiarmi su un destino che io stessa sono convinta di creare.


In questi giorni sto leggendo “Un indovino mi disse”, un libro schietto di uomo che ammiro profondamente, Tiziano Terzani. Il suo e’ un lungo viaggio nel tempo e nello spazio dall’occidente verso il suo “antagonico” oriente, un lungo e duro cammino per scoprire quali siano, e soprattutto se esistano leggi di prevedibilita’ per un futuro che rimane comunque incerto.
Leggendo lui, sentendo lui scavare in culture antiche e rivisitazioni moderne (profane) di vecchie conoscenze per riscoprire il filo conduttore che unisce ogni singolo avvenimento della sua vita, mi rivedo io stessa nelle notti d’estate, quando il cielo sembra un poco più vicino all’uomo, ricercare negli astri che mi avvolgono quella solita risposta.
La risposta a una domanda che mi hanno insegnato in strane circostanze quando già ero adulta: “Verso dove sto andando e perché son venuto?”.
Fino ad oggi non trovo risposta, né negli astri, né nelle carte, né nelle linee della mano, né nell’intelletto, né nel mio cuore…

A volte quando cammino nelle strade di Maputo, mi incanto a vedere gli enormi alberi che mangiano l’asfalto delle strade e il cemento dei marciapiedi. Sono alberi secolari con corpi grandi e forti come titani, hanno delle lunghe barbe che scendono fino a terra. Sono alberi dai fiori viola, rosa, gialli, rossi, bianchi e quando piove le loro foglie raccolgono l’acqua come delle grandi mani. Quando durante l’estate il sole rimane immobile nel centro del cielo e ancora caldo oltrepassa l’orizzonte, se non ci fosse la loro ombra, non ci si potrebbe muovere da casa. Su di loro io vedo scritta la storia di questo paese, perché immagino che dall’alto delle loro fronde vedono la vita delle persone scorrere in un lento cambiamento che non li riguarda.
A loro nessuno li pota, nessuno li tocca, nessuno si disturba se con le loro vene distruggono il suolo e invadono lo spazio, nessuno mette in discussione la loro eterna esistenza.
Penso che da noi forse li avrebbero tagliati per mettere al posto loro degli alberelli e delle belle aiuole ordinate e potabili, a misura di città per bene, senza storia, senza passato, senza memoria. Più facili da controllare.
Qua invece, si permette ancora che il tempo lasci il suo segno sui tronchi degli alberi e ogni casa con cortile, ognuna di quelle che noi siamo abituati a chiamare baracche, riposa sotto l’ombra del suo albero più grande. Alberi di mango o di mafura che nella stagione delle piogge regaleranno generosi frutti gialli e succosi.

Perché vi parlo di alberi e di destino?
Perché la prima immagine che vedo, appena l’ultimo aereo del mio lungo viaggio sorvola Maputo, sono le grandi fronde degli alberi sparse per la città.
Grandi fronde che mi preannunciano l’arrivo, che mi ricordano un destino scelto e conosciuto, come linee di vita sulla mano loro tracciano la storia vissuta del loro paese, un paese dove ho scelto di venire a vivere per uno strano intrecciarsi di eventi.

E a questo pensiero, mentre scendo cautelosa le scalette traballanti dell’aereo, sussegue quella solita strana sensazione di non capire mai se sono partita o son ritornata.

















prima e ultima foto tratte da internet

martedì 12 maggio 2009

Da un libro non ancora concluso...


Migliaia di suoni cadono dal cielo
Ti scuotono dal silenzio del tuo cuore.
Migliaia di stelle illuminano il tuo cammino,
Sono le persone che incontri per sbaglio
Di passaggio nella tua vita
Come un profumo che scivola via col vento
Come un’onda che non ritorna più indietro.
Un ricordo di un attimo che dura tutta la vita,
Il bianco e nero della tua memoria
Così lontano
Così leggero da tenere in mano.

lunedì 4 maggio 2009

Riflessioni del primo autunno africano



Mi preparo alle riflessioni di metà anno…
Il mondo che mi circonda si fa ogni giorno più bello e atroce davanti ai miei occhi, insistente sognatrice idealista di un futuro migliore.

A questo punto dell’anno traccio sempre differenze con quello che l’ha preceduto e proietto come lance infuocate i miei obiettivi per quello che verrà.

Mi sento bene e piacevolmente ottimista.
Forse perché oggi e’ l’ennesima giornata di sole, mi sembra che qualcosa di bello succederà in un futuro non ancora chiaro.
Qualcosa come un rivoltamento della situazione attuale … qualcosa come un “e’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta!”.

Mentre scrivo queste parole, di getto e di cuore, mi viene in mente che ogni giorno, ogni secondo, ogni istante in cui il respiro esala dalle nostre bocche qualcosa di meraviglioso e qualcosa di devastante succede in questo pianeta.
Ma non penso solo alle centinaia di giovani anime che varcano la porta dell’esistenza in un pianto di sollievo o alle centinaia di vittime di un olocausto di ingiustizie che si protrae da secoli nella nostra storia umana.

Penso semplicemente ai flutti del mare che bagnano le rive tiepide di una autunno africano che si avvicina, penso Al Signor Mondlane, il mio vicino di 86 anni che ogni mattina incontro salire lentamente le scale, penso al verde intenso delle acacie il primo mattino quando esco da casa per andare a lavoro, penso ai fiori profumati del frangipani sparsi lungo il cammino, penso che non vorrei che oggi fosse un giorno qualsiasi.

Un brivido di piacere scorre lungo la mia spina dorsale.
Poi arriva il pensiero successivo al quale mi piacerebbe sfuggire.

E quello che rimane? Mi chiedono increduli i miei demoni custodi.
Quello che rimane sono le stesse tristi storie di sempre…
Una nuova influenza che uccide uomini come porci (ma ci possiamo credere??)… l’insinuazione che sia qualcosa volutamente provocato per dio solo sa quale ambizione di potere, penetra nei miei timpani come un ago affilato.

Che altro?
Eh…che altro?
Fame, Miseria, Guerra e Spensieratezza umana rispondo io.
E poi?
E poi debito estero, politica corrotta e inganno.
Tutto qui?
No, anche violenza, indifferenza e omertà'.
Ancora?
Si ancora…

Cinicamente sorrido e penso che questa vita sembra quasi una contropartita.
Niente in cambio di niente.

Ma chi detta le regole?

Io credo che ognuno di noi detta le sue proprie regole, per questo sono sempre stata convinta del magico potere delle singole azioni umane.
Quelle piccole azioni sufficienti a se stesse, che se unite in un unico flow (per rubare un termine dalla musica urbana) irrompono nella nostra quotidianità spezzandone la magra monotonia rutinaria.
Wow! Questo si che e’ un bel pensiero che vale la pena trattenere.
Qualcosa che ci fa sentire unici e utili.
Puo' sembrare uno scherzo,o un'esagerazione, ma quasi tutti noi ne abbiamo terribilmente bisogno.
Forse qualcuno lassù nelle silenziose sfere celesti si fa una bella risata per questo nostro continuo tentavo umano di essere essenziali.
Eppure a me sembra cosi.

Chissà, forse per quest’altra parte di anno che ci resta possiamo ancora immaginarci indispensabili...
Per esempio… non delegando quello che a noi spetta fare.
Per esempio… dando un po’ più di spazio alle priorità e lasciando un po’ più in disparte tutte le secondarietà’a e terziarietà che offuscano al nostra vi(s)ta.
Abbracciando forte qualcuno che amiamo, ascoltando quello che hanno da dirci con maggiore attenzione, regalando qualcosa alla quale teniamo davvero a qualcuno che davvero ne ha bisogno, desiderando essre esattamente dove ci troviamo,facendo le cose più lentamente, respirando profondamente, condividendo

si perche' Happiness is not real unless shared,

la felicità non e’ reale se non si condivide…

Chiudo questo post e queste riflessioni di maggio immaginando di riuscirci davvero.




Buona giornata a tutti...