martedì 18 marzo 2008

Addio (riflessioni di un vecchio viaggio)


Saltare da un pensiero all’altro.

Seguire la triste melodia di una voce che sfuma col tempo.

La paura di non arrivare al domani, il terrore della morte che attanaglia le membra,

quella morte che ci sfiora solo dentro in quello spazio esatto che separa me e te,

la morte del cuore, la morte dello spirito

e la sua resurrezione nei secoli dei secoli.

Dio, invia un tuo messaggero,

che porti con se delle stoffe per ricamarci un racconto, una storia che inizia altrove, un ricordo che non si può dimenticare.

Sciogli le membra nell’acqua del mare,

un intero oceano per separarmi da quello che tengo dentro il cuore,

la lontananza per ritornare dove un tempo i guerrieri danzavano sulla terra,

sorretti dal suo sangue, esseri divini volati via come una freccia in cielo….

e l’arco sono le nostre mani sporche di quel sangue, per dipingerci un sorriso e lavarci le mani,

che tanto è tutto passato.

Torno da te e ti aspetto,

forse su una spiaggia sarà l’incontro, forse dentro una grotta,

già nel sogno e nel pensiero…ogni giorno e ogni notte.

Aspetto che tu venga a me per unire le anime in un unico respiro, per far rivivere il passato dentro nostri corpi.

Il tuo tocco magico sulla pelle

I tuoi capelli vento e sole sulla schiena

Un sussurro

Una carezza

Un momento della nostra vita.

Ritornerò da te nuda come il bambino sacro.

Ritornerò piena di parole e gesti,

per crescere sotto il tuo seno forte come il vento e veloce come il lampo.

E quando mi avrai fatto crescere ti nutrirò con il mio seno,

pane per la tua bocca,

Le mie gambe le tue strade

Il mio utero i tuoi segreti

La mia bocca la tua memoria.

Dentro un fiore riposerò al suono delle grotte,

il canto della terra.

Urla questa terra

Urla la tua pelle umida per un bacio…

Le tue piazze gremite di folle,

I tuoi bar zeppi di luce e voci,

mentre aspetto il mio caffè e parlo di qualcosa che non ho mai visto.

Una fitta leggera che si percepisce appena… ma devo partire,

prendere o lasciare.

E io lascio sempre per cercare altro e ancora e ancora, finché la ruota gira e il carro corre verso il fondo.

Chi lascia la vecchia strada per la nuova…avrà i suoi buoni motivi.

Sa quel che lascia…dentro le case della sua città, dentro il cuore degli amanti e delle madri.

Non sa quel che trova…a me va bene così.

giovedì 6 marzo 2008

L'Insostenibile Diversità dell'Essere

Il mio desiderio di Africa era iniziato tanto tempo fa, forse 8 anni fa, attimo più attimo meno, a causa di quel primo amore che non si scorda mai. Nonostante a volte credo che sia stato precedente anche a quello, come se si fosse manifestato ancora prima, come un impulso-ricordo irrazionale. Perseguitandomi. Fino ad oggi, ossia fino a quando, per una serie di eventi e “coincidenze” ho deciso di venirci a vivere in questa Africa!

Perché? Tutti mi chiedono.

Per Amore…ma questa è un'altra storia.

Mi ritrovo ora quindi davanti a una scelta di vita che prende forma nei giorni che si susseguono, incredula io stessa della forza che sta assumendo davanti alle infinite possibili strade che invece avrei potuto percorrere e che…e che non ho preso.

Ma c’è un pensiero che martella la mia testa ogni giorno.

La mia falsa memoria mi annienta. Quell’angolo di cervello dove si ammucchiano pensieri e ricordi e idee e bagagli culturali-immaginativi risulta essere completamente inefficace davanti alla realtà quotidiana, per il semplice motivo di esser frutto di una proiezione e non di un vissuto.

Il doppio taglio di un’arma sconosciuta che recide la membrana che separa un sentitodire da un ricordo personale.

Qualcuno mi disse che “il conoscimento diventa saggezza solo nel momento in cui diventa esperienza personale”, e ora mi vien voglia di buttar via tutti i racconti, i dialoghi i resoconti che mi son stati fatti nell’arco di tutto questo tempo. Mi vien voglia di gettarli dietro le mie spalle, come per scaramanzia, simbolizzando l’avanzata impellente di un nuovo Mondo, il MIO Mondo.

E gettando uno sguardo su questo Nuovo Mondo vedo i miei piedi strofinando le strade di Maputo con leggerezza, quasi nel tentativo di non lasciare nessuna orma sulla terra sporca e rossa di marciapiedi quasi inesistenti…reliquie di un passato coloniale, così vicino e triste.

E come si fa a passare da uno dei sette paesi più sviluppati al mondo a uno che è non è fra gli ultimi 10? Come si fa a fare un salto cosi grande senza rompersi l’osso del collo????

Sapete quanti numeri passano dal 7 al 157???No…non sono 150.

Sono milioni.

Milioni.

Milioni di anime.

E sono milioni di anime che ti guardano con sospetto e/o curiosità mentre passeggi nelle loro strade, fra le loro case, sporcandoti i piedi fino alle caviglie…

Perché qua i bianchi possono solo andare in macchine nuove e a piedi passeggiano nella zona del Museo, lontano dai canali di scolo a cielo aperto. Lontano da case ingabbiate dietro sbarre di ferro fitte e doppie, le case delle prigioni per sfuggire al ladrão.

E sapete cosa ne fanno qua dei ladroes? Li bruciano vivi!Dio mio Santo! Li mettono dentro un pneumatico vecchio e via…una vita in meno, un poco come al tempo dell’Inquisizione ma con meno teologia dietro, credo.

E il mio stupore cresce nel sapere che inchieste fatte a bambini in età elementare, rivelano che anche loro sono completamente d’accordo: “bisogna farsi giustizia da soli perché la polizia non lo fa”. E quindi bruciamoli via questi ladri di galline, di dvd, di televisioni, di pane, di riso e pianto…

Ma chi l’avrebbe mai detto che gente così silenziosa potesse manifestare tanta crudeltà??

Ed allora mi chiedo PERCHÉ??

Ma non trovo nessuna risposta.

Si, perché mi sono stufata di analisi sociologico-storiche o psico-sociologiche o storico-psichiche.

C’è qualcosa di marcio nell’umanità, in qualsiasi parte del mondo si trovi, sia quale sia la ragione.

La mia giornata inizia la mattina alle 8 quando mi sveglio silenziosamente dopo una notte d’amore, mi preparo, carico il computer in spalla e vado al lavoro.

Esco dal portone verde lasciandomi alle spalle case bianche come neve, annidiate in fila e silenziose. Macchine di 25 mila euro stanno parcheggiate aspettando qualcuno che le metta in moto per andare a passeggio.Un cane abbaia ogni volta che passo, un cocker isterico e annoiato. La guardia mi apre gentilmente la porta e io volo via verso al mia giornata.

Attraverso al strada e una pioggerellina lieve bagna i vestiti, mi fermo e aspetto la prima chapa che passa e mette la freccia gialla, barcollante come ubriaca di troppo gasolio che sputa fuori fumo negro come il cancro ai polmoni. La chapa fffffrena rumorosamente e croic croic si ferma spalancandomi la porta del purgatorio.

Tutti la dentro fermi, attaccati spalla a spalla, ventre a ventre, uniti appiccicati da un destino comune.

Andiamo.

La chapa tossisce, si lamenta e zoppicante riparte, come ogni giorno, ogni mese, ogni anno fino al collasso.

Eppure è tutto così umano la dentro.

mercoledì 5 marzo 2008

Fuoco e fiamme a Maputo!

Qualche settimana fa la soffocante contraddizione della realtà appesa a un filo nella quale mi muovo si é rivelata nella sua più orrenda veste: la violenza urbana.
Dietro facce di sincero stupore e soffocata rabbia i cittadini di una Maputo sull'orlo del disastro si sono riuniti in piazza per protestare contro l'aumento dei trasporti pubblici, chapa, cigolanti furgoncini privati, principale mezzo di trasporto interurbano.
Copertoni bruciati, strade sbarrate, frasi gridate, linciaggi, spari, morti e feriti. Il popolo no aguenta, non ce la fa e esplode in faccia a un governo pieno di buone parole e indeciso se reagire a favore del popolo o dei trasportatori. Intanto la polizia spara, arresta e picchia sempre con quel metodo di giustizia sommaria del chi c'è c'è. Non importa se hai davvero fatto qualcosa di male, la protesta non è mai ben accetta da nessuna parte, e come sempre la risposta alla violenza è sempre e solo una violenza ancora maggiore. Per terrorizzare, per sopire gli animi, per tappare il più velocemente possibile la voragine aperta negli occhi di chi assiste impotente a un nuovo episodio di ingiustizia e povertà assoluta.
Perché si tratta di sopravvivenza e di un salario minimo troppo vicino allo zero per permettere alle persone di far fronte a un prezzo di trasporto raddoppiato da un giorno all'altro. Qua fra i poveri non è indifferente il centesimo che cade dal nostro borsellino per distrazione.
La protesta è continuata per giorni, la scuola Armando Guebuza (attuale presidente del paese) viene assaltata in segno di rifiuto al governo, chi ci rimetterà saranno i bambini che ci studiano. Aumentano le rapine. Le macchine vengono prese a pietre per strada. Nessuno esce. Le persone vengono picchiate. I genitori hanno paura per i loro figli che devono tornare da scuola. Le strade sono silenziose, la notte cala anche di giorno.
La notte è la paura che scoppi una seconda Nairobi, Kinshasa, Kigali, Freetown, Luanda, Bujumbura...
La notte è la certezza di non essere immuni...
La notte è la vittoria della violenza su se stessa.